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 «Il Costume»

Il Costume tradizionale di Nuoro - Parte seconda
    (Postato da Admin il 05/01/2006 - 08:51:00 - l'Articolo é stato letto 20893 volte)

(Leggi la prima parte dell'Articolo: Link proposto)

Immagine: GonnaPannoIntera.jpgPer quanto attiene alla biancheria, le notizie disponibili sono limitatissime in conseguenza del riserbo che tradizionalmente circonda questo settore del vestiario. oltre al già citato dossette che si indossava sotto la camicia, è attestato l'uso del cassiu, una sorta di leggera gonna di tela lunga grosso modo fino alle ginocchia e tenuta in vita da una fettuccia; su cassiu aveva funzione di stacco tra le gonnelle di lana o cotone commerciali, che a loro volta venivano indossate sotto la tunica, e il corpo o, quando c'erano, le mutande.

E certo che un gran numero di persone non faceva uso di quest'ultimo indumento ancora nel secondo dopoguerra; esso non era tuttavia del tutto sconosciuto nei primi anni del Novecento e il suo uso era diffuso, probabilmente, non tanto nel ceto benestante genericamente inteso, quanto in quelle famiglie i cui componenti, per le ragioni più diverse, avevano avuto occasioni di contatti con l'esterno, specie con ambienti urbani dell'Isola e del Continente.

Gli esemplari di cui si ha notizia erano di tela di cotone, caratterizzati da una fascia in vita piuttosto alta, di forma trapezoidale con la base verso l'alto, e da calzone che arrivava fino al ginocchio ove terminava con arricciature moderate e con un volantino pure in tela; la cucitura veniva nascosta da passamaneria bianca e pizzo pure bianco; in altri casi la fascia anteriore poteva essere più sottile; per adattarla alla vita si potevano avere fettucce o bottoni.

Per quanto attiene alle calze si ha conoscenza dell'uso di esemplari di cotone e di lana, prodotti in casa ai ferri, che arrivavano sotto il ginocchio; i colori potevano essere i più vari. E’ verosimile, peraltro, che calze e scarpe venissero abitualmente usate da una minoranza privilegiata: da fonti dirette risulta che ancora negli anni Trenta un bel numero di ragazze del rione di S. Pietro le quali, per un motivo o per l'altro, avessero dovuto recarsi al "centro" della città, fossero solite procedere scalze e con le scarpe in mano fino al confine rionale, rappresentato dalla piazza S. Giovanni; qui le calzavano per poi riprenderle in mano al ritorno.

Assai scarse risultano le notizie relative al vestiario infantile. E’ pur vero che nell'album di acquerelli del Dalsani (1878) è rappresentata una bambina nuorese nell'abbigliamento che si è descritto come proprio delle donne sposate, con tanto di benda bianca e grembiule; ma pare ragionevole ritenere che tale mise fosse piuttosto inconsueta e tutt'al più prerogativa di bambine appartenenti a famiglie assai facoltose". Infatti, alcuni di questi costumi vengono gelosamente conservati in diverse case nuoresi di zente bona, di persone di riguardo.

Per la generalità dei casi si può ipotizzare che, superato l'ingombrante apparato di fasce e cuffiette del periodo neonatale e la serie di camicioni della prima infanzia, la tendenza fosse quella di far indossare quanto prima sa fardettedda, la gonnella, con camicia e corpetto, di fogge assai semplici e di tessuti commerciali, unicamente al fazzoletto di cotone o di lana, di colori chiari; l'uso di scarpe è da considerare praticamente inesistente.

La serie d'indumenti che compongono il vestiario maschile nuorese, nel periodo a cavallo fra Ottocento e Novecento, comprende i capi più diffusi dell'abbigliamento tradizionale dell'Isola precedentemente elencati.

Immagine: RetroIntMasch.jpgIl copricapo è la solita berritta nera, d'orbace o di panno, in tessuto doppio, senza cuciture. La camicia, ghentone, in tela di cotone o di lino, in genere più consistente di quella dei modelli femminili, aveva un piccolo colletto ricamato coperto tenuto da due bottoncini d'oro o d'argento e ampie maniche. Il giubbetto, su zippone, era realizzato in panno rosso, rivestito, nella parte anteriore e nelle maniche, di velluto blu; veniva agganciato a doppio petto sul davanti, ed era dotato di maniche con larghe aperture dalle quali fuoriusciva la camicia, e, ai polsi, di asole cui potevano essere sospesi bottoncini in filigrana d'argento; esso poteva essere indossato alla rovescia.

Al giubbetto, fuori dell'ambito strettamente familiare veniva sempre sovrapposta una giacchetta senza maniche in pelle d'agnello, piuttosto curata e ben rifinita e posteriormente avente un garbo a campana. Il gonnellino nero d'orbace, carzones de furesi, piuttosto corto e con punto vita assai sottile, era profilato da un bordino di panno rosso appena visibile e aveva tasche bordate di panno nero. I calzoni bianchi, carzones de tela, di lino o di cotone, con varianti più resistenti per la campagna, venivano infilati dentro le uose, mesu carzas, profilate anch'esse di un bordino sottilissimo di panno rosso.

In vita si portava una cintura di cuoio, chintorja, talvolta ornata da ricami in seta e spesso accompagnata da una o due borse in cuoio assai ben rifinite, dette brenteras, atte a contenere tabacco o altro.

D'uso comune erano inoltre su cappottinu, su gabbanu, la mastruca, utilizzati soprattutto in campagna, e gli scarponi chiodati, che venivano sostituiti da scarpe più leggere, di produzione industriale, solo per le ricorrenze importanti. Si portavano, infine, calze bianche di lana sos piuncos o di cotone, lavorate a ferri, prodotte in ambito familiare.

I vedovi usavano vestire di nero dotandosi all'uopo di nuovi indumenti o, più frequentemente, facendo tingere quelli che già si possedevano: d'altra parte si trattava di intervenire solamente sul giubbetto e di eliminare le bordature rosse dei carzones de furesi e delle uose.

Le notizie raccolte oralmente confermano quanto emerge dalle fonti iconografiche, soprattutto dalle fotografie d'epoca, circa la sostanziale inesistenza di differenze di abito per categorie di mestieri; tutt'al più esse potevano riguardare l'uso di indumenti accessori (si pensi per esempio ai grembiuli di cuoio dei fabbri e dei calzolai connessi a specifiche operazioni e attività).

Non si ha inoltre, notizia che allo status socio-economico corrispondessero differenze formalizzate nel vestiario. Tale dato risulta in sintonia con la diffusa convinzione, peraltro tutta da verificare, che nella Nuoro di quegli anni non esistesse una vera e propria stratificazione sociale.

Circa il vestiario dei bambini, fino all'età di quattro-cinque anni può valere quanto precedentemente detto per le bambine. Per l'età successiva, nei primissimi anni del Novecento, si registra un rapido abbandono degli indumenti tradizionali in favore di giacchette e calzoni a tubo di foggia moderna o alla zuava. L'inserimento dei bambini di estrazione agro-pastorale nelle attività lavorative familiari faceva sì che essi, a differenza delle bambine, quasi sempre scalze, venissero dotati di robusti scarponi, indispensabili per la permanenza in campagna: tale dotazione segnava emblematicamente il passaggio dall'infanzia alla fanciullezza e l'ingresso, invero assai precoce, nel mondo del lavoro.

Pare perfino superfluo evidenziare come l'uso degli indumenti appena descritti, per le stoffe e i filati che utilizzano, denuncino l'esistenza a Nuoro di una vivace e articolata organizzazione commerciale col Continente, e con i grossisti dell'Isola, in grado di garantire la fornitura continua dei materiali necessari, in grandissima parte prodotti nel nord Italia (Lombardia, Piemonte, Liguria) e all'estero (Germania, Francia, Inghilterra).

Lo stesso orbace, alla fine dell'Ottocento, non viene più prodotto a Nuoro. Infatti, la situazione che l'Angius registra nel 1843:
Citazione:
Sono in attività non meno di 300 telai dell'antica forma per la tessitura delle tele e del panno forese e vendesi il superfluo ai bisogni domestici specialmente nella fiera che si celebra per la N. Donna delle grazie


risulta assai modificata alcuni decenni dopo se, prestando fede a Grazia Deledda, si considera che
Citazione:
... la lana è filata dalle donne nuoresi, ma viene trasportata ad Oliena e Dorgali per la tessitura, perché a Nuoro i telai sono quasi del tutto scomparsi. Anche il filare è riservato alle vecchie o alle donne di una certa età.

Scomparsa risulta, altresì, la produzione della seta, che permane a Oliena e a Orgosolo, e pressoché inesistente quella del lino.

Attorno agli anni Venti le fogge e gli indumenti femminili e maschili che si sono descritti cominciano a risultare ormai superati. Nell'abbigliamento femminile festivo un fazzoletto di lana tibet marrone ha sostituito la benda bianca; il grembiule è del tutto smesso; il giubbetto si porta sopra il corretto, la gonna è prevalentemente di panno marrone impreziosita da una balza di velluto blu; ha pieghe di circa 4 cm e arriva fino aria caviglia.

La stratificazione di gonne (necessaria per l’insieme a pala a supra, tunica, benda), fa posto ad un figura più snella; anche la camicia, che nel passato veniva indossata in maniera tale che ricadesse sul petto, provocando alla rigidità del tessuto inamidato un rigonfiamento sempre superiore a quello naturale, acquista dimensioni più modeste. In generale, pare possa affermarsi che l'abito tradizionale modifica il suo rapporto col corpo femminile e, in un rinnovamento delle proporzioni tra i vari capi, assume le caratteristiche del moderno tailleur, ancorché realizzato nei colori e, in parte, nei tessuti tradizionali.

Ancora più decisa risulta la svolta nel versante maschile che, analogamente a quanto s'è già detto per la gran parte dei centri dell'Isola, vede un generale abbandono di zippones, carzones de furesi, carzones de tela e mesu carzas in favore di giacche e calzoni a tubo di fusta, di velluto e, per le occasioni importanti, di lana; la stessa berritta fa posto a berretti con corta visiera o a cappelli a falde, di produzione continentale. Le ragioni di tale trasformazione vanno ricercate nell'influenza sempre maggiore dalla moda esterna, nell'uso di tessuti che rendono più facile le confezioni dei capi, e nella contemporanea, profonda modificazione dell'assetto sociale di Nuoro.

Immagine: PartGrembiule.jpgCiò, soprattutto, a seguito dell'istituzione, nel 1926, della terza provincia sarda: la Nuoro dei pastori e dei contadini vede la rapida immissione di un ceto impiegatizio, di prevalente provenienza extraisolana, che va immediatamente ad assumere una posizione di prestigio grazie al livello d'istruzione e a un reddito ininfluenzabile dagli esiti delle annate agrarie.

I modi di vestire, e in generale lo stile di vita delle fami lie piccolo borghesi di nuova acquisizione, influenzano rapidamente la comunità nuorese determinando per la prima volta una evidente differenziazione basata più che sul reddito, sul comparto socio-economico di appartenenza: i ceti urbani, costituiti da commercianti, impiegati, artigiani, e dalle loro famiglie, fanno ormai esclusivamente riferimento alla moda esterna, salvo rare eccezioni; pastori e contadini, e i relativi nuclei familiari, indossano indumenti che, pur fortemente aggiornati, rivelano i segni delle fogge Tradizionali.

Per quanto attiene alla confezione, secondo una serie di informazioni relative ai primi quarant'anni di questo secolo, alcuni indumenti venivano realizzati nell'ambito del lavoro femminile domestico, altri da sarti o, più frequentemente, da sarte, mastros o mastras de pannu, spesso specializzati nella confezione di questo o di quel capo di vestiario. Si producevano in famiglia camicie, gonne e grembiuli di cotone d'uso quotidiano, capi di biancheria, bende, fazzoletti e, seppure meno frequentemente, gonne di panno e corpetti d'uso domestico in stoffe ordinarie.

Saper cucire era, d'altra parte, una delle competenze che fin da giovanissime le donne nuoresi s'industriavano di acquisire in quanto requisito indispensabile per poter essere considerate bonas massaias, brave ed efficienti donne di casa. Veniva invece affidata alla sarta la confezione degli indumenti più complessi e che richiedevano, pertanto, una buona conoscenza delle tecniche sartoriali: giubbetti, corpetti, gonne d'orbace relativamente al vestiario femminile e cappottinos, peddes, giubbetti e gonnellini d'orbace per il settore maschile. Pure a una persona specializzata, che poteva essere la stessa sarta cui era stata affidata la confezione degli indumenti o un'esperta scelta autonomamente dal committente, era riservato il compito di eseguire i ricami dei capi di vestiario più importanti: i coros delle camicie nuziali, i motivi ornamentali in seta, oro o argento delle palas a sopra, quelli delle bande dei grembiuli e della balza delle gonne di panno.

Normalmente la stessa ricamatrice provvedeva alla scelta dei cucirini, dovendosi disporre di materiali rispondenti a ben determinati requisiti di colore e di qualità. I tessuti potevano essere acquistati dal committente dietro precise indicazioni della sarta o forniti direttamente da quest'ultima. Era consuetudine che le sarte sottoponessero il panno o l'orbace ad adeguate operazioni di tintura, per dotarli delle gradazioni di colore prescritte per i diversi indumenti: il panno, infatti, veniva generalmente messo in commercio bianco o, se acquistato già tinto, poteva non possedere le caratteristiche di colore canoniche; analogamente l'orbace poteva essere reperito al naturale o in tinte non appropriate. Era addirittura non infrequente che, a cura della sarta, venissero eseguite sull'orbace faticose operazioni supplementari di follatura.

Poiché gli indumenti che venivano realizzati in "bottega" erano destinati - è il caso di dirlo - a durare una vita, e a costituire, pertanto, una componente fondamentale e duratura dell'immagine sociale del committente, appare chiaro come le operazioni sopra descritte, e soprattutto quelle connesse alla confezione vera e propria, quale quella del taglio dei tessuti, festare, presupponessero una cura e un impegno impensabili nell'attuale contesto sociale; cura e impegno spesso supportate da piccoli rituali magico-protettivi contro il malocchio e contro influssi negativi di tipo meteorologico.

Alcune sarte, come nel caso di Pasqua Sanna, che iniziò la sua apprezzata attività attorno al 1910, facevano uso di cartamodelli, festos e di macchine per cucire. Si deve anzi alla figlia di Pasqua Sanna, M. Antonia, l'apertura, attorno agli anni Venti, di un'agenzia di vendita delle macchine Singer e la loro ampia diffusione (sensibilmente favorita, peraltro, dal supporto pubblicitario dei corsi di cucito e ricamo promossi dal Fascio e curati, in qualità di esperta, dalla stessa M. Antonia Manca Sanna).

Le diverse sarte, da Pasqua Sanna e figlie, operanti nei pressi di corso Garibaldi, alle sorelle Belloi e alla maestra Fadda, rispettivamente del rione di Seuna e di S. Pietro, insieme a numerose altre i cui nomi sono assai vivi nella memoria della gente, svolsero certamente un ruolo importante nell'ambito del settore di cui ci si occupa e un'indagine specifica potrebbe servire a chiarire in che misura o in quali casi la loro attività abbia determinato una standardizzazione di fogge e di motivi ornamentali oppure un aggiornamento dei moduli del vestiario tradizionale alla luce delle nuove esigenze scaturite dalla crescita urbana di Nuoro.
Altrettanto utile, per una ricostruzione delle vicende connesse all'evoluzione del vestiario nuorese, e, in generale dell'ornamentazione dei tessuti d'uso domestico nel periodo dagli anni Venti agli anni Cinquanta, potrà risultare un'indagine sull'attività di quella singolare figura di pittrice, figurinista ed etnografa che fu Caterina Cucinotta.

Vincitrice negli anni Trenta di un concorso nazionale per figurinista ed esperta disegnatrice e ricamatrice, ha lasciato i segni della sua eclettica produzione in tovaglie, lenzuola, arazzi, nonché in olii, acquerelli, cartoline raffiguranti fiori e scene di vita tradizionale. Per quanto attiene al vestiario, la Cucinotta è stata la maestra riconosciuta dei disegni delle balze in velluto che ornavano le gonne di panno. Il disegno, riproducente generalmente racemi e fiorami, veniva tracciato con grande facilità nella stoffa e completato facendovi aderire polvere d'oro o d'argento o ricamandolo con i consueti filati di seta, oro e argento.

Della Cucinotta etnografa, a parte le relazioni tenute in occasione di due convegni nazionali di etnografia è rimasto un manoscritto sulle tradizioni popolari barbaricine materialmente redatto negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, ma sulla base di annotazioni risalenti ai precedenti trent'anni e corredato di un album di venti acquarelli donde è tratta la tavola sui giubbetti femminili qui presentata. Del sistema di vestiario tradizionale che si è cercato di descriere, del tutto smesso per quanto concerne gli uomini è individuabile un segno residuo nell’abbigliamento tuttora adottata da un aparte non esigua delle donne nuoresi intorno ai sessant'anni.

Esso è costituito, per quanto s'attiene alle occasioni sociali di rilievo e alle feste, da: camicetta di produzione sartoriale, brusa, di cotone, lana o seta, a tinta unita o a minute fantasie, generalmente in colori tenui; gonna di lana secca, plissettata", di colore marrone, blu, grigio o nero, lunga fino a coprire il polpaccio; fazzoletto di lana tibet, color rosso cupo, nero o marrone - si porta sui capelli intrecciati e raccolti sulla nuca in una crocchia, curcuddu -; scialle di lana tibet, marrone, blu o nero, ornato di frange di seta finemente intrecciate".

Per l'uso quotidiano, pro cada die, si indossano camicette e fazzoletti in tessuti più ordinari, o semplicemente smessi dall'uso festivo in quanto logori; gonne di cotone a tinta unita o a minute fantasie, sempre di colori scuri; scialle di lana, una sorta di bouclé, detto issallu 'e ispugna, di colore azzurro, marrone o nero.

I diversi capi, soprattutto quelli festivi vengono, sempre in relazione al colore, accuratamente abbinati; naturalmente l'uso esclusivo o parziale di indumenti neri implica un lutto più o meno stretto.





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