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Il Costume tradizionale di Nuoro - Parte prima
(Postato da Admin il 05/01/2006 - 20:05:00 - l'Articolo é stato letto 28490 volte)
Vi presentiamo questa interessante quanto corposa ricerca sul costume tradizionale nuorese, condotta dal nostro Gruppo di Ballo.
Vi rammentiamo che, oltre alle foto dei due articoli seguenti, nella Sezione "Album fotografici", trovate una ulteriore ed ampia rassegna di materiale fotografico sui costumi ed i gioielli ornamentali tradizionali di Nuoro.
Bibliografia: Il museo etnografico di Nuoro di Gerolama Carta Mantiglia...[et al."> direzione scientifica di Paolo Piquereddu;
fotografie di Raimondo Santucci ed Amilcare Pizzi - Sassari: Banco di Sardegna, 1986.
Il sistema di vestiario femminile e maschile che più diffusamente e frequentemente viene indicato come "costume di Nuoro" è una variante ricca e festiva dell'abbigliamento nuorese del tardo Ottocento, divenuta abito di scena per le esibizioni corèiche e musicali dei gruppi folkloristici nuoresi. Con la perdita della sua funzione d'uso, questo vestiario, nel generale processo di rivalutazione di tutti quegli elementi culturali individuati come segni specifici dell'identità sarda, ha finito per assumere una funzione di tipo simbolico.
Nei suoi confronti si vive, cioè, quell'atteggiamento emotivo di cui parla Bogatyrév descrivendo il concetto di "nostro costume".
Esso Citazione: | "... non indica solo la funzione dell'appartenenza regionale, ma rinvia a una particolare funzione, non deducibile da tutte le altre che compongono tutta la struttura nel suo complesso. Si noti l'analogia con la lingua: la lingua materna, come "il nostro costume", possiede la funzione di struttura delle funzioni. Noi la preferiamo a tutte le altre lingue non solo perché dal punto di vista pratico la consideriamo la più comoda per esprimere i nostri pensieri, non solo perché ci sembri la più bella. La lingua materna, come anche il nostro costume, sono preferiti perché più vicini a noi, e proprio in questo si percepisce e si manifesta la funzione della struttura di funzioni". |
Per quanto attiene al versante femminile il vestiario di cui si tratta è composto da: fazzoletto copricapo, benda; corpetto, pala a supra, indossato sopra un giubbetto, zippone; camicia, camisa o linza, di tela bianca; grembiule, franda; gonna d'orbace, tunica; cintura, chintorju; scarponcini bottinos o stivaletti, di cuoio, con o senza lacci. La benda era costituita da una striscia di tessuto di lino o di cotone, larga grosso modo 20 cm, e di lunghezza tale da coprire abbondantemente le spalle dopo averla cinta per due volte attorno al capo. L'orlo, semplicissimo, era privo di festoni, smerli o ricami. La benda copriva buona parte del viso e il lembo, che durante il giorno del matrimonio veniva lasciato cadere sulla spalla, da quel giorno in avanti era d'uopo venisse raccolto fino a coprire completamente la bocca.
Durante il pranzo, e in generale durante i lavori domestici, essa veniva raccolta sopra il capo secondo una foggia che ricorda la tiagiola di Atzara. Nell'uso quotidiano poteva essere alternata al fazzoletto di lana, muccadore: certo è che non si usciva mai di casa a capo scoperto, secondo una norma diffusa in tutta l'isola e per certi versi ancora vigente in fasce d'età dai cinquant'anni in su. Con la cautela del caso si ricorda l'annotazione del Bresciani: Citazione: | "... in Busacchi poi e in Nuoro le bende in luogo d'essere di zendado nero sono di bianchissimo lino, ma è fermo il turare la bocca insino al naso. E ciò che è più considerevole, quelle femmine veggendo il Sacerdote, nell'atto di passargli da presso rimuovono con un atto della mano la benda dalla bocca per modo di riverenza". |
Sul lato della benda che poteva essere lasciato libero, all'altezza della tempia, era d'obbligo appuntare una spilla; questa poteva essere, per la quotidianità, assai modesta, con la testina a forma di martello, in argento o in oro; per occasioni di una certa importanza era assai frequente l'uso di una spilla di tipo baroniese, a stella, o di uno spillone con due semplici volute in filigrana d'oro, diffuso anche a Fonni.
Per poter portare la benda era necessario tenere i capelli, legati a treccia, molto tirati e raccolti sulla nuca; ai capelli venivano intrecciate delle fettucce, di colore scuro, che davano consistenza alle trecce: questo tipo di acconciatura si chiamava sa bitta, denominazione derivante probabilmente da vetta, fettuccia; si sovrapponeva quindi una cuffia, casetta, di foggia simile a quella, assai più conosciuta e documentata, di Desulo: essa aveva la funzione di tenere i capelli ben raccolti e, nel contempo, di supporto cui appuntava la benda.
Le cuffie di uso quotidiano venivano realizzate nei tessuti più disparati ma sempre di tonalità di colore scura; quelle da sposa utilizzavano velluto o panno rosso e venivano ornate da una grande stella a fili d'oro o d'argento sui lati e da bordature pure ricamate. Altro indumento caratterizzante il vestiario festivo delle donne sposate di fine secolo era il corpetto detto pala a supra, che dava la denominazione all'intero sistema di vestiario di cui si parla.
Esso andava indossato sopra il giubbetto, le cui falde venivano nascoste sotto la gonna, e arrivava fino al punto vita. Le palas a supra venivano confezionate in tessuti vari, ma tutti preziosi, quali i broccati - tagliati sempre in maniera tale da imitare un disegno a ricamo e badando alla disposizione simmetrica dei motivi ornamentali - e le sete pesanti; su queste venivano realizzati ricami in seta, in seta e oro e, negli esemplari più preziosi, esclusivamente in oro, tant'è che per un corpetto particolarmente ricco si diceva che era reso rigido dall'oro: pala tettera de oro.
L'indumento era bordato alto sul davanti, in seta rossa, che doveva risultare di colore diverso da quello del giubbetto e della gonna, e profilato di scarlatto. Era tipica della parte posteriore delle palas a supra una doppia serie di occhielli di seta, minutissimi realizzati a punto festone, nei quali si intrecciavano dei nastri, pure di seta, che avevano la funzione di consentire al corpetto di adattarsi alle spalle e al busto di chi lo portava, slanciandone nel contempo la sfigura.
Il grembiule, franda, di forma trapezoidale, arrivava a coprire di circa 2 cm il bordo superiore della balza della gonna d'orbace; di panno nero negli esemplari più conosciuti, doveva probabilmente utilizzare, in precedenza, panno blu. Due esemplari conservati nel Museo Sanna di Sassari sono peraltro realizzati in panno verde".
Nella parte inferiore, il grembiule era decorato da una banda ricamata a motivi naturalistici, stilizzati e geometrici, a fasce concentriche rettangolari; tale banda era sempre sormontata da tre mazzetti di fiori allineati, in genere una rosa con dei garofani, con foglie, realizzati anch'essi a ricamo in filo di seta. Tra i diversi motivi ricorrenti nei ricami si ricordano quello detto a rosicheddas, a roselline, costituito da cerchietti divisi in quattro spicchi di colori alternati (che potevano essere nocciola e rosso geranio); tra una rosichedda e l'altra potevano essere inseriti due boccioli o due foglioline. Le unità dei ricami, che variavano da 1 cm a 1,5 cm d'altezza, venivano segnate da un motivo a punto catenella e da una sua variante trasversale.
Frequenti erano altresì i motivi ornamentali a rombi, riservati generalmente al terminale inferiore della fascia, realizzati a mezzo punto, su canovaccio, a colori degradanti: rosso geranio, viola, vèrde. Della parte centrale era altresì tipico il motivo detto su caracolu, la chiocciola, descritto, insieme a numerosi altri, dalla Cucinotta". Immancabile, e caratterizzante in qualche modo tutti i tessuti ricamati della Barbagia, era il motivo detto de s'acu pinta di difficile traduzione, alla lettera "l'ago dipinto", costituito da triangolini e guglie stilizzate, a punto festone, di circa 1 cm d'altezza. Esso, nel caso del grembiule, segnava il passaggio dalla parte ricamata al panno o, meglio, ammorbidiva il passaggio dalla vivacità della banda ricamata all'uniformità del panno blu o nero dando un senso di completezza al tutto.
La parte superiore del grembiule era arricciata fittamente mediante una serie di pieghe, ispunzas, in modo tale che risultasse meno ampia che alla base, mentre agli angoli veniva profilato di velluto e omato di ricami fino all'altezza delle tasche della gonna. Questi ornamenti, così come i bordi delle tasche, venivano chiamati masculas.
Non infrequente l’uso di ricamare, sulle ispunzas, le iniziali unite a un motivo floreale stilizzato. A norme ben precise rispondeva anche la profilatura dell'intero pezzo che non poteva essere di un unico colore o tessuto: di velluto rosso scuro alla base e fino all'altezza della banda ricamata, diventava viola e di seta fino alle masculas, per poi riprendere con tessuto ancora diverso, anche se di minor pregio dal momento che veniva coperto dalla cintura, nel bordo superiore. Sul grembiule, all'altezza dell'arricciatura, era consuetudine appuntare, generalmente una volta effettuate le nozze civili, un fiocco di seta color rosa o ciclamino.
La gonna d'orbace, tunica, di colore rosso scuro o marrone, utilizzava un tessuto piuttosto pesante, non particolarmente fine; prevalentemente nella parte posteriore aveva pieghe a gheroni molto larghe, fino a 10-12 cm alla, base, e di lunghezza tale da sfiorare il suolo; essa era fittamente pieghettata in vita e bordata alla base da una balza di raso di seta di 16-18 cm di altezza. Poiché veniva indossata sopra un numero imprecisato di altre gonne, fardette, in genere di cotone, la tunica assumeva una forma definibile a campana. La stratificazione di fardette consentiva che la tunica venisse sollevata e fatta ricadere sulle spalle o, in caso di pioggia, sul capo, per svolgere funzioni di mantello impermeabile.
Citazione: | Un pittoresco uso delle donne nuoresi è il rigettarsi la tunica sulle spalle (a tunica ghettada in coddos). Ed ecco come: dopo averla indossata, si piglia per i lembi dei davanti e si rigetta prima su una spilla e poi sull'altra in modo che la tunica copre tutto il davanti della persona e ricade dietro descrivendo una V col suo orlo colorito lungo il dorso. Quando fa freddo o pìove sì getta ín testa. |
La tunica foderata, per l'altezza della balza, di stoffa ordinaria e profilata di velluto rosso o, meno frequentemente blu, in esemplari più antichi il bordino risulta di scarlatto, la sua funzione era quella di proteggere l’orbace.
La camicia, camisa o linza era sempre bianca di cotone, oppure di lino, detto tela o tela ‘e filu, quello più fine. Non infrequentemente il davanti e le maniche erano di lino e le spalle di cotone. Alle camicie femminili si fa il cuore (su coro) come si esegue anche in talune canicie maschili. Il cuore è una specie di ricamo ad ago sulla larga increspatura (sas ispunzas) che raccoglie l’immenso volume della tela sul collo e sui polsi…. Il nome di coro proviene dal fatto che la figura del ricamo è composta di cuori, più o meno finiti, più o meno fioriti e piccoli. C’è il "cuore di sette" , "il cuore di nove" ecc. Fra gli altri trapunti del collettino è notevole la spichilla in forma appunto di sottilissima spiga e un piccolo merletto eseguito tutto ad ago, a punto d'occhiello.
Sotto questo indumento si portava su dossette, una camiciola-corpetto di tela bianca, che moderava la scollatura della camicia nel contempo abbellendola. Se ne conoscono di diverse fogge, ma la più consueta prevedeva fosse formata da due spalline abbastanza larghe, scollatura quadrata impreziosita da un ricamo o da un pizzo e abbottonatura laterale o posteriore per non interrompere l'ornato. Naturalmente su dossette da sposa era particolarmente curato e impreziosito da ricami o filet.
Sopra la camicia si indossava il giubbetto, zippone, di panno rosso detto iscaralata, con bordature ampie di raso di seta marezzata, in colori che andavano dall'arancio al geranio (e in tempi più recenti al rosso cardinale e al ciclamino): La seta delle bordature era uguale a quella della balza della gonna d'orbace: era infatti consuetudine che, nel caso fosse necessario sostituire la balza della gonna perché consunta, venisse acquistata una quantità di seta sufficiente a rinnovare anche quella delle bordature del giubbetto e viceversa, onde evitare che i due indumenti fossero ornati da materiali di colore diverso.
Il giubbetto era foderato di velluto blu di cotone o di seta; le maniche, aperte, consentivano la fuoriuscita delle ampie camicie, ed erano caratterizzate da una serie di occhielli bordati di seta azzurra ai quali potevano essere appesi dieci bottoni per parte. L'insieme era completato da una cintura, chintorju, di nastro dorato o argentato spesso profilato di filo azzurro". Il giubbetto era l'unico indumento del vestiario nuorese espressamente confezionato per essere indossato anche alla rovescia: in tal caso, per avere le maniche di velluto blu e le spalle coperte da un ampio triangolo con il vertice verso il basso, risultava praticamente identico al giubbetto maschile.
Tale consuetudine mirava a preservare la seta delle bordature dal rapido logorio che l'uso frequentissimo comportava; era infatti praticamente indispensabile indossarlo in qualsiasi circostanza e attività al di fuori dell'ambito domestico. In casa, e in generale nella vita quotidiana privata, si usava rimanere in maniche di camicia e in corpetto del tipo pala a manica de camisa, molto semplice; ad essi venivano associate gonne di cotone a minute fantasie, ma sempre di tonalità scura, sovrapposte l'una all'altra in numero variabile a seconda delle preferenze personali, quasi sempre accompagnate da un grembiule pure di cotone. Per incombenze al di fuori dell'area familiare, come s'è detto, alle gonne di cotone si sovrapponeva la gonna d'orbace.
Non secondarie differenze caratterizzavano il vestiario da nubile: intanto anziché la benda era d’uopo portare un fazzoletto marrone, di lana tibet, poteva essere ricamato con motivi floreali in seta, in oro o argento, piuttosto ampio, così da coprire parte delle spalle (Il fazzoletto veniva posto sul capo lasciando la fronte abbastanza scoperta; si facevano quindi due pieghe laterali in modo da raccoglierne in parte l’ampiezza sotto il mento; un lembo andava sotto mentre l’altro rincalzava dall’altra parte dopo essere stato infilato di lato pressa poco all’altezza della tempia).
Le più giovani potevano portare anche fazzoletti di colori vivaci, ma solo nell’uso giornaliero. Non si portava alcun grembiule, mentre era d’obbligo tra le signorine di buona famiglia la tunica orlata di seta, generalmente rossa, a tinta unita o a quadrettini – una sorta di madras – o a righine di colore sfumati; nel caso di ragazze particolarmente giovani o di condizioni non agiate, l’orlo poteva anche essere di un tessuto ordinario.
Alla fine del secolo scorso e nei primi anni di questo, cominciano altresì a diffondersi tra le tubili di buona famiglia l’uso delle gonne di panno marrone, con balza blu o marrone. Sulla camicia che poteva essere più o meno ricca, veniva indossato il corpetto nella variante a sutta. Questa veniva confezionata con i tessuti più disparati: la parte anteriore, che sporgeva dal giubbetto, identico a quello da sposa, ed era piuttosto visibile in quanto si allacciava sul davanti, poteva essere di seta o di velluto di seta, ricamata o meno; la parte posteriore - le vere e proprie palas – poteva essere di terziopelo, oppure di cotonine commerciali. Diversamente dalla pala a supra che arrivava fino al punto vita, il modello a sutta giungeva appena sotto il seno e, posteriormente, sino alle scapole.
Per quanto attiene al vestiario da lutto in generale, si può citare ancora la Deledda: Citazione: | Tranne la vedova nessun altro parente è costretto a vestirsi di nero. Le più prossime portano la benda e il grembiule; però devono indossare sempre il giubbone, dalla parte dello scarlatto, ed avere il corsetto agganciato. Molte vanno scalze in segno di lutto e portano le gonne orlate di verde. Altre specialmente la madre, le sorelle maritate, le zie o le cugine indossano sempre sa pala a supra. La benda è essenziale segno di lutto, ma si porta anche il fazzoletto nero.
A misura che si allontana il grado di parentela, si porta la benda di colore, o color caffè, o giallo scuro, e giallo chiaro (tinta in terra gialla o in zafferano) o infine bianca. Bianca è specialmente per i bambini. Anche certe vedove, dopo moltissimi anni, usano portare la benda caffè o scurissima o gialla e le gonne grigie orlate di nero. Il lutto varia da sette ed otto anni per il padre, fino a due anni – il minimo – per lontani parenti. Certe persone indossano i seguenti di lutto anche per le amiche. |
L’abbigliamento dello stato vedovile non differiva da quello delle donne sposate se non per il colore, nero per tutti gli indumenti: dalla benda, di lana tibet, alla tunica, al grembiule, dalla pala a supra al giubbetto. E’ attestato, peraltro, l’uso di un tipo particolare di giubbetto, detto corittu, con le maniche strette e chiuse: probabilmente esso rispondeva all’esigenza di evitare gli sbuffi delle maniche della camicia, considerati troppo vistosi, che venivano fuori dal giubbetto usuale a maniche aperte. Era altresì frequente che alla gonna d’orbace, ma senza grembiule, venisse associata sa pala a manicas de camisa e il giubbetto, portato sopra di questa.
Secondo una consuetudine tuttora in vigore, alcuni degli indumenti da lutto venivano donati alla vedova da partenti e amici; questi potevano anche provedere a tingere di nero alcuni capi già in possesso della vedova; tali compiti rientravano nella più ampia attività di assistenza che veniva svolta dai vicini, dai parenti e dagli amici relativamente a incombenze pratiche quali la preparazione di pranzi, la cura dei bambini e l’organizzazione del funerale.
Pare utile evidenziare ulteriormente come i modi di vestire appena descritti fossero riservati a donne del ceto benestante, e come notevolmente differente potesse risultare il vestiario della generalità delle donne nuoresi: le differenze potevano riguardare la qualità dei tessuti, i motivi e la quantità dei ricami, la varietà dei gioielli, il numero dei bottoni e il tipo stesso di metallo utilizzato per questi.
A fattori economici sono altresì da attribuire le differenze nel colore stesso degli indumenti: tinte brillanti e solide, infatti hanno caratterizzato, nei secoli, soltanto le vesti dei ceti nobiliari e facoltosi; sicché il blu e il rosso degli indumenti dei contadini, e in generale delle classi subalterne, non sono mai stati veri rossi e veri blu, ma li ricordavano soltanto La produzione industriale di tinte chimiche ha, infine, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, superato tale storica differenziazione".
Al riguardo pare pertinente ricordare quanto scriveva l'abate Angius nella voce Nuoro del dizionario del Casalis (1843), riferendosi ad alcune ordinazioni che il consiglio comunale aveva disposto qualche anno dopo l'elevazione di Nuoro al rango di città (1836): Citazione: | Tra le altre ordinazioni de' signori del consiglio civico era comandato alle donne del popolo, che dimettessero nelle gonnelle il color bigio, che avevano sempre usato, e le tingessero in rosso; ma le indocili fecero le sorde, se pur non si risero dell'ordinazione, e l'antico color nuorese fu conservato... Abbiam notato il color ordinario che piace alle donne; ma quando si parano a festa usano il colore rosso-scuro, e allora si distinguono anche per questo dalle povere che seguono a portare il panno bigio. | Il "panno bigio" era l'orbace naturale, tra il grigio e il nocciola, che probabilmente per la gran parte della popolazione era troppo costoso tingere.
(Continua nella seconda parte dell'Articolo: Link proposto) |
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